Un pensiero sulla pellicola

La scomparsa di Gianni Berengo Gardin ha coinciso grossomodo all’annuncio della Kodak di non riuscire a liquidare i creditori. Il primo un maestro tra i più grandi fotografi del nostro Paese, la seconda un colosso capace di solcare l’evoluzione della fotografia per tutto il secolo scorso.
Una coincidenza senza alcun legame preciso – anche perché Berengo Gardin preferiva le pellicole Ilford – che però mi ha fatto pensare. Che la fotografia così come la si è conosciuta dalla fine dell’Ottocento sino al nuovo millennio sia storia passata? La pellicola no, non è scomparsa, sembra anzi aver trovato un proprio equilibrio. Ma cosa sarebbe se un domani una delle poche aziende che ancora ne produce chiudesse i battenti? Ma soprattutto, quali le peculiarità che distinguono la pellicola dal sensore?
La questione della conservazione è uno degli aspetti centrali quando si pensa all’importanza che la fotografia come documento ha assunto nella storia moderna. E la pellicola, specialmente se si sceglie il bianco e nero, offre le garanzie maggiori di durabilità. Nel cinema, ad esempio, poiché il colore è meno stabile, i film di valore possono essere convertiti in tre pellicole in bianconero. Ciascuna di esse viene impressa per uno dei tre colori fondamentali. Da queste copie sarà possibile eseguire nuove ristampe a colori anche a distanza di secoli, ovviamente se il processo di sviluppo e la conservazione delle pellicole rispetta un preciso protocollo. Ma c’è di più. Film Rescue è un laboratorio specializzato nello sviluppo di negative “dimenticate”. Ciò significa che se si trova una pellicola scattata decenni fa e mai sviluppata, il laboratorio è in grado di trattarla con una chimica adeguata in grado di restituirne il contenuto. Il laboratorio ha collaborato con musei e istituzioni, come il Jewish Holocaust Museum, il Getty Museum, l’FBI e National Geographic, recuperando materiale di valore storico.
Ma se una pellicola può essere sviluppata anche dopo settant’anni, seppur con una notevole perdita di qualità, sarà garantita la lettura di un hard disc in futuro? La storia recente pone qualche dubbio a riguardo.
Altro discorso è la qualità del digitale. Con una nitidezza ed un dettaglio superlativo permette di scattare in condizioni di luce difficili, in passato impossibili; i software di postproduzione lasciano regolare toni e contrasto con un’accuratezza senza precedenti. Peccato solo che vi sono anche altri fattori. Quando mostro il mio portfolio a qualche nuovo cliente vi mischio insieme digitale e analogico, senza però farne cenno. E finisce sempre che il buon bianco e nero venga preferito al corrispettivo digitale. Credo sia dovuto alla sua natura artigianale, al fatto che una buona stampa debba necessariamente essere interpretata in camera oscura e qui entra in gioco l’abilità umana. Nel colore la stampa lascia meno margine d’interpretazione, il valore è dato soprattutto dalla possibilità di fotografare in grande formato. Il grande formato, per l’appunto: chi usa la pellicola ha a disposizione un corredo di corpi macchina e obiettivi che attraversano tutto il Novecento. Ed è giusto osservare come certe lenti, seppur meno corrette, possano dare effetti interessanti. Non è un caso se siano comparsi in mercato obiettivi costruiti a partire da schemi ottici del tutto superati e proprio per questo ricercati.

Ultimo aspetto dell’analogico è che qualsiasi intervento di manipolazione dell’immagine è estremamente complesso e limitato. Sostituire uno sfondo, correggere un incarnato, eliminare un difetto estetico è possibile anche in camera oscura. Ma al di là del costo, quanti sarebbero in grado di farlo? Il timbro che Gianni Berengo Gardin apponeva sul retro delle stampe – VERA FOTOGRAFIA – sta a significare proprio questo. Una “vera fotografia” è un’immagine catturata nel rispetto della natura stessa del mezzo. La fotografia “tira in ballo la realtà”, scriveva Barthes, e qualsiasi intervento di manipolazione non fa altro che impoverirne il valore.
Sono queste le tesi che mi portano a sperare che la pellicola non scompaia mai, anche perché sarebbe impossibile prepararsela in proprio. E se anche la Kodak non sia l’unica impresa che ne produce, la George Eastman Company, fondata nel 1888, segna un unicum nella storia della fotografia.
Fu la prima a rendere la fotografia un bene alla portata di tutti, con la nascita del primo apparecchio: la Kodak N. 1, una macchina che veniva venduta pronta per l’uso. All’epoca l’emulsione era stesa su vetro, ogni lastra permetteva un solo scatto e andava caricata al buio entro uno chassis per poter essere utilizzata. Eastman decise di sensibilizzare della carta piuttosto che del vetro, così da produrre un rotolo negativo con più scatti. Una volta terminati, si restituiva l’apparecchio ad uno dei laboratori affiliati che assieme alle stampate, lo riconsegnava già carico con un nuovo rullo.
Di lì a poco Eastman avrebbe poi sostituito la carta con la celluloide: nasceva la pellicola. Avvolgibile e resistente, grazie alla perforazione laterale si prestava anche ad essere impiegata per il kinetoscopio di Edison (v. foto in basso), un’invenzione che anticipa la scoperta del cinema: il 35mm, divenuto nel tempo uno standard anche in fotografia. Il 16mm, l’8mm e il Super 8 per il cinema, il 126 e il 110 per la fotografia, sono tuti formati lanciati dalla Kodak, idem la prima pellicola industriale a colori, negli anni Trenta.
Un aspetto non meno importante è il lavoro divulgativo, fatto tanto di pubblicazioni librarie quanto di opuscoli che venivano distribuiti presso i negozi di fotografia. Dulcis in fundo il George Eastman Museum: fondato negli anni Quaranta, ripercorre la storia della fotografia e della cinematografia attraverso un archivio unico al mondo.
Paradossalmente il declino della Kodak inizia con un un’altra sua invenzione che però non riesce a cavalcare: il sensore digitale. Così nel 2012, nel pieno del ciclone con cui il digitale sta stravolgendo il mercato fotografico, richiede bancarotta assistita: si tratta di riorganizzare l’azienda con il sostegno dello stato. Da principio sembra trovare un equilibrio. Hollywood garantisce un consumo sufficiente di pellicola. In fotografia si consolida una nicchia. Tornano in commercio emulsioni precedentemente ritirate, la richiesta sorprende le aspettative. Tutta fuffa? nel 2025 la Kodak è di nuovo in crisi.
Quindi? il mercato della pellicola rischia un nuovo e duro colpo? La domanda per chi, come Berengo Gardin, continua a preferirla è lecita. E pensare che un’impresa che per oltre un secolo è stata sinonimo di fotografia sia oggi sull’orlo del collasso mi rende triste. Soprattutto per i più giovani. Perché imparare a fotografare con la pellicola è l’esercizio più utile che un fotografo possa fare. Poco conta se poi si passi al digitale: cosa s’intende per “vera fotografia” sarà chiaro.
